(Articolo di giornale trovato qui)
SI chiamano «vento», oppure «doppio», «sigaretta», «ospite». E non sono parole usate da adolescenti per inviarsi messaggi. Identificano un trucco. Sono avvertimenti che si scambiano ristoratori e camerieri per dirsi che, in sala, c’è un cliente con scarse intenzioni di saldare il conto. «Sono anni che faccio questo lavoro e quelli che non vogliono pagare li riconosco appena entrano», racconta Patrizia Francesconi, cameriera all’Antico Forno, di via Amerigo Vespucci a Testaccio. Attenzione, per esempio, a chi in pieno inverno indossa una giacca con sotto «doppio» maglione. «È uno dei metodi che noto immediatamente – spiega – In genere sono uomini, si siedono ai tavoli più vicini all’uscita, sono molto vestiti per poter scappar senza dover lasciare il cappotto. Chiedono primo, secondo e al contorno cominciano ad essere nervosi, si guardano intorno e quando torniamo in cucina per il caffè fuggono via». Veloci come il «vento», come fanno i clienti che scelgono rigorosamente di cenare fuori. «Preferiamo il tavolo esterno», dicono al cameriere perplesso quando la serata non è ancora particolarmente favorevole. «C’è più aria». Lo sa bene Raffaele Sacco dell’ «Hostaria da Raffaele», a via Bodoni, vecchia trattoria testaccina con un grande spiazzo per i tavoli. «Una volta sono scappati in 28, una grande tavolata esterna – racconta – alla spicciolata sono scomparsi velocemente, lasciando parecchie centinaia di euro di conto. Il cameriere è riuscito ad acciuffarne tre. Hanno pagato solo la loro parte». Per non parlare di una coppia distinta e con molto appetito: lei bella, bruna, sui 30 anni, lui brizzolato, robusto sui 40. «Hanno mangiato dall’antipasto al dolce, e infine hanno scelto anche la grappa migliore – dice Gianna, la cuoca -. Poi lui ha chiesto di poter pagare con la carta di credito, ma noi accettiamo solo contanti. “Vado al bancomat a prendere i soldi”, ha detto, dopo venti minuti non era ancora tornato. “Forse è successo qualcosa vado a cercarlo” ha detto lei». Naturalmente sono scomparsi. Sì perché, a quanto pare, la «sola» al ristorante frequente in anni lontani, quando cibarsi bene non era privilegio di tutti, sta tornando con caratteristiche nuove. Chi non paga lo fa soprattutto per sfida, divertimento o per bere un vino molto costoso, o mangiare una raffinatezza alimentare. E la legge che tutela i non fumatori aiuta involontariamente gli «scrocconi». Per questo i camerieri se, a metà pranzo, vedono il cliente sospetto tirar fuori la «sigaretta» si preoccupano. «Quando posso chiedo al personale di dare un occhio a chi esce – racconta Benedetto Circi, titolare dell’Antico Forno – ma se il locale è pieno diventa impossibile. Così è successo, soprattutto in estate, che qualcuno uscito per fumare non sia mai più rientrato». «Circa il 40% di quelli che non saldano i conti usano la scusa “esco per fumare” – spiega Nazzareno Sacchi, presidente di Assoristoranti – è diventato il metodo più diffuso e più temuto dai nostri iscritti». E quasi mai i titolari denunciano questi raggiri. «Non serve a nulla, tanto i soldi non li recuperiamo. L’unico sistema è osservare bene i comportamenti di chi entra e prevenire il problema», spiega Elena Matteucci, proprietaria del ristorante «Il Cantinone». E infatti i ristoratori si raccontano tra loro le «sole» ricevute, fotografano facce e tecniche degli scrocconi. Una tra le tante è quella dell’«ospite», trucchetto che permette a una coppia di truffatori di mangiare in due ristoranti diversi. Eccola: un cliente durante il pranzo riceve la telefonata di un amico che si trova non molto distante, quindi lo invita a mangiare con lui, parlando ad alta voce in modo che il cameriere possa sentirlo. «Sta arrivando una persona, metta un altro coperto». Poi riceve una seconda telefonata, l’amico «fantomatico» avrebbe difficoltà a trovare il locale. «Esco, ti vengo incontro, così mi vedi». Ovviamente una volta fuori lo scroccone scompare sul motorino del complice. La scena si ripeterà poco dopo, a parti invertite, nella trattoria più vicina.
Maria Rosaria Spadaccino, il Corriere della Sera 6 aprile 2006
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